Belle, divertenti e tremendamente pericolose: cosa c’è dietro allo straordinario avvio di Viola e Atalanta?
L’ultimo decennio di Serie A, iniziato con l’arrivo di Antonio Conte sulla panchina della Juventus, è stato, probabilmente, uno dei più monotoni della storia del calcio italiano, se è vero che, in dieci anni, nove scudetti sono andati a finire alla stessa squadra.
Un dominio assoluto, che ha finito per far perdere l’attenzione mediatica che il nostro campionato aveva sempre ricevuto da parte degli stati stranieri, i quali, complice anche il declino della Nazionale, hanno smesso di considerarci superiori o al loro stesso livello.
Dalla caduta della Vecchia Signora, poi, ci sono state quattro stagioni più incerte, nella quale Inter, Milan e Napoli si sono spartite i titoli, alzando sicuramente il livello della competitività interna, frutto di un maggiore equilibrio rispetto al passato.
Trascorse quattordici giornate dall’avvio del campionato, però, è ormai lecito affermare come quella che si sta disputando ora è indubbiamente la Serie A più livellata degli ultimi quindici anni, se è vero che, oggi come oggi, ci sono almeno sei squadre in grado di lottare per la vittoria finale.
Se alcune di queste erano facilmente pronosticabili come possibili favorite, altre compagini, quali la Lazio e le due protagoniste di questo articolo, Viola e Dea, erano molto difficili da inserire nella corsa-Scudetto.
Nonostante ci siano ancora ventiquattro giornate da disputare, dunque, è assolutamente corretto ritenere che Atalanta e Fiorentina siano le sorprese di questo avvio, le belle di notte che, a fari spenti, rischiano di giocare una grossa trappola alle blasonate big che le precedono.
Come nascono la Viola e la Dea
La seconda e la quarta posizione che, ad oggi, Atalanta e Fiorentina occupano nella classifica generale di Serie A non devono essere ritenute frutto di una sorte particolarmente fortunata, ma, al contrario, una diretta conseguenza di una sapiente e lungimirante visione, partorita sicuramente almeno qualche anno fa.
Entrambe le squadre, infatti, hanno iniziato da tempo un percorso di continua crescita, che, se nella Dea risulta particolarmente evidente grazie alla permanenza dello stesso allenatore, anche nella Viola è riconoscibile, se è vero che, aldilà dell’avvicendamento in panchina fra Italiano e Palladino, le linee di mercato seguite sono state sempre le solite.
Pradé, non a caso, anche quest’anno ha scelto di puntare sullo stesso tipo di profili su cui la sua società ha scelto di investire dall’inizio del triennio dell’attuale allenatore del Bologna, il quale, fin dal suo arrivo, richiese sempre calciatori giovani e a basso costo, senza andare mai ad innamorarsi di big costosi e irraggiungibili per le casse gigliate.
Ecco, dunque, che il mercato estivo, fatta eccezione per il veterano De Gea, si è concentrato sull’acquisizione di calciatori di questo tipo, come i vari Bove, Richardson, Gudmundsson, Colpani e Kean, per ora tutti rivelatisi dei grandissimi colpi.
Poco da dire, poi, sull’Atalanta, squadra che, probabilmente, è stata fra le prime nel nostro paese ad avviare una politica di mercato di questo tipo, affidandosi all’abilità del proprio allenatore di far crescere numerosi giovani, utili poi come pedine per il “player trading”.
E’ facile, allora, comprendere come sia la Viola che la Dea siano tra le società messe meglio economicamente, dall’alto anche di due stadi ristrutturati e due centri di allenamento completamente rimodernati, resi funzionalmente à la page.
Due giocatori per ogni ruolo
Uno dei grandi meriti, forse il più grande, delle strategie di mercato seguite dalle dirigenze di Atalanta e Viola, aldilà della scelta di fare affidamento su calciatori giovani, risiede soprattutto nella decisione di acquistare, a seconda del modulo scelto dal proprio allenatore, due giocatori per ogni ruolo.
Seguendo questa linea guida, infatti, Gasperini e Palladino si trovano nella tanto desiderata condizione di disporre praticamente di due squadre, composte, poi, da calciatori tutti di livello medio-alto, la maggior parte dei quali intercambiabili fra di loro.
Le ultime partite delle due compagini, che affrontano entrambe tre competizioni quest’anno, stanno a dimostrarlo.
A Roma, per esempio, Gasp ha sostituito cinque dei suoi titolari, quali Retegui, Lookman, De Ketelaere, Ruggeri e Kossounou, con altrettanti ottimi “panchinari”, rivelatisi, come nel caso di Zaniolo e Cuadrado, marcatore e assistman, decisivi nella seconda rete orobica.
Anche la Fiorentina, nonostante la sconfitta, ieri sera ha dato prova di una simile condizione, se è vero che l’Empoli ha seriamente vacillato quando, durante la ripresa, sono entrati calciatori di superiore o egual valore rispetto a quelli che erano già in campo, Gudmundsson su tutti.
Insomma, bergamaschi e fiorentini sembrano aver assunto le sembianze dei mitologici mostri greci dalle molteplici teste chiamati “hydra”: per una testa che perdono, ne nascono altre due ancora più minacciose e temibili.
Prendere esempio
Atalanta e Fiorentina, dall’alto del loro stupendo avvio di campionato, devono essere una grande fonte di ispirazione per tante squadre, magari anche più ricche, della nostra Serie A, le quali hanno creduto che il numero dei milioni spesi sul mercato bastasse a testimoniare la bontà della rosa costruita.
Purtroppo per loro, ma forse vantaggiosamente per tutto il calcio italiano, i soldi questa volta non hanno vinto, se è vero che compagini come Roma, Milan e, ultimamente, anche Juventus stanno faticando clamorosamente a trovare la continuità ormai propria di Dea e Viola.
Gli esempi di orobici e gigliati, dunque, sono due situazioni virtuose da cui tante realtà devono prendere spunto, tentando di costruire anche loro un progetto simile, la cui bellezza risiede proprio nella sua stessa economica natura.
Le società dei Percassi e di Commisso, infatti, testimoniano come non si debba obbligatoriamente essere i più ricchi sulla piazza per ottenere dei buoni risultati, ma come, invece, sia strettamente necessario, non disponendo di risorse illimitate, cercare di ponderare con cura ogni acquisto e decisione.
Non devono per forza essere più importanti la quantità, il nome o il blasone, ma, al contrario, l’adattabilità, la gioventù e la potenzialità dei calciatori (lo dico in romano non casualmente) “hanno da contà” più di ogni altro aspetto.
Solo così, dunque, la nostra Serie A tornerà a popolarsi delle piccole realtà che ne hanno sempre scritto la storia, trovandosi a vivere, con le proprie modeste risorse, delle situazioni inimmaginabili e meravigliose.