L’ottimo avvio di campionato dell’Udinese non è un ghiribizzo del destino, ma il frutto di un preciso percorso intrapreso dalla dirigenza.
Il Nord-Est dell’Italia, da sempre, è una terra abbastanza sconosciuta al resto del paese, sia per pigrizia del resto degli italiani, che per una propria volontà degli stessi abitanti di questa zona.
Questi ultimi, durante tutta la loro storia, sono passati da una dominazione all’altra, venendo sottomessi, nell’antichità, dalla Serenissima, prima di essere conquistati dall’Impero Asburgico, scacciato dalla nostra penisola solo in età molto tarda.
Come se non bastasse, il Friuli-Venezia Giulia è stata indubbiamente una delle regioni italiane più colpite dalle due guerre mondiali, nella quale si è ritrovata ad essere lo scenario di massacri e devastazioni, prima di, nell’immediato dopoguerra, subire anche la dominazione comunista jugoslava, sotto l’egida di Tito.
Anche escludendo da questa lunga lista di sofferenze il terremoto del 1976, quindi, la “scorza” che gli abitanti di questa zona si sono autoprodotti, per proteggersi da qualsiasi cosa estranea a loro stessi, appare maggiormente comprensibile.
L’essere poco “cool” del Friuli è, allora, una conseguenza di questa durezza caratteriale dei suoi abitanti, derivata anche dall’enorme laboriosità appartenente ad ognuno di loro, che, alle luci della ribalta, preferisce il silenzio e l’umiltà.
Non è un caso, come ennesimo esito di questo atteggiamento, che la maggior parte dei movimenti di mercato dell’Udinese, il cui presidente è nativo proprio di Udine, siano sempre accompagnati da un silenzio misterioso, il quale, però, sembra non dispiacere ai bianconeri.
Spesso, infatti, la dirigenza delle “Zebrette” riesce a piazzare dei colpi di inaspettato valore, stupendo tutti gli addetti ai valori e riuscendo a ricavare delle elevatissime plusvalenze, oltreché, a volte, degli ottimi risultati in campo.
Una vera e propria macchina, costruita con intelligenza e lungimiranza, in stile pragmaticamente friulano.
Udinese style
Sanchez, De Paul, Molina, Benatia, Di Natale e, arrivando ad un epoca molto lontana, persino Zico.
Questi i calciatori acquistati dall’Udinese all’inizio della loro carriera, quando ben pochi erano a conoscenza del loro talento e si sbilanciavano a pronosticarne un futuro roseo.
Non è, dunque, una novità che lo staff bianconero, che, negli anni, ha visto passare grandissimi dirigenti e direttori sportivi, i quali hanno fatto la storia del calcio italiano, sia uno fra i migliori della Penisola nello scovare, senza fare troppo rumore, dei calciatori giovani e, soprattutto, ampiamente futuribili.
Aldilà della bravura dei singoli uomini mercato bianconeri, però, la vera causa di questa grande capacità di scoprire nuovi talenti va ricercata nella fittissima rete di scout che l’Udinese ha creato in tutti questi anni, andando a coprire quasi tutti gli angoli del globo, alla ricerca di calciatori da sviluppare in Italia.
La peculiarità di questi progetto non è tanto la sua stessa essenza, che, ad oggi, tante squadre in giro per l’Europa ripropongono pedissequamente, ma è più la sua data di nascita, avvenuta in un’epoca in cui era molto più complicato eseguire un simile lavoro rispetto ad oggi.
Le Zebrette, infatti, iniziarono a tessere la loro tela di contatti già dall’inizio degli anni Ottanta, quando, da dopo l’acquisto di Zico, si sono susseguiti tutti gli acquisti dei giocatori elencati all’inizio del paragrafo, i quali, dopo la loro permanenza in Friuli, si sono trasformati in plusvalenze importantissime, reinvestite a loro volta nel potenziamento dello scouting.
Un vero e proprio ciclo vitale, che ha garantito all’Udinese di rimanere, dal 1992, sempre nella massima categoria.
Un continuo rinnovamento
La strategia dell’Udinese, che, in tutti questi anni, non ha mai accusato gravosi problemi economici, oltre ai già citati enormi vantaggi che offre, presenta sicuramente anche un “contro” molto evidente, soprattutto agli occhi dei tifosi bianconeri.
Vendendo ogni volta i calciatori migliori che si è riusciti a scovare, infatti, le Zebrette sono costrette all’inizio di ogni annata a ricostruire una nuova squadra, dovendo necessariamente ristabilire delle nuove gerarchie e dei nuovi ruoli.
E’ possibile, dunque, che arrivino anche dei periodi bui, come, d’altronde, lo è stata la scorsa stagione, nella quale l’Udinese è riuscita a salvarsi solo in extremis, grazie anche, oltre alla propria bravura, ad un disegno del Fato particolarmente benevolo.
Come diceva, però, uno come Winston Churchill, che di stravolgimenti ne ha visti e vissuti tanti, “non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.
E’ questa, dunque, la frase che, probabilmente, racchiude nella maniera migliore il modus operandi della dirigenza bianconera, la quale, anche quest’anno, si è data da fare per rinnovare degnamente la rosa, sia a livello di calciatori che di allenatore.
Inutile dire, alla luce della classifica, che i risultati sono tutt’altro che pessimi, con i bianconeri che, aldilà di due sconfitte accettabili contro Roma ed Inter, hanno vinto quattro partite su cinque, pareggiando solo con il Bologna all’esordio.
Un cambiamento, dunque, quello adoperato quest’estate dai Pozzo e da Gokhan Inler, che sta ampiamente dando i suoi frutti, nell’attesa di scoprire se, dopo anni di sedentarietà nella parte destra della classifica, quest’anno si possa ambiare ad entrare in quella sinistra.