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Soulé, un fiore che sta sbocciando: la storia di un talento fragile

Soulé, "Gimme a man after midnight".

Con una rete importantissima come quella di oggi, Matias Soulé si è indubbiamente meritato la quarta puntata di “Gimme a man after midnight“.

“Guardando quelle gambe muoversi pensò “E’ una stella!” cantava Cesare Cremonini, immaginandosi un giovane di New York intento ad osservare una meravigliosa ballerina, così snella e leggiadra da incantarlo, illuminandolo con la sua arte.

Ciò succede con la danza, succede molto spesso con la pittura, ma, nonostante quello che qualcuno potrebbe affermare, accade frequentissimamente con il calcio e, in generale, con lo sport.

Ci sono dei giocatori, infatti, che, quando sono in forma, assomigliano veramente, anzi, sono davvero degli artisti, in grado di pennellare, tramite gambe o braccia, delle tele degne dei migliori geni della nostra storia, in grado di far emozionare alla stessa maniera.

La difficoltà che questi personaggi straordinari si trovano ad affrontare, quindi, non dipende tanto dalle proprie qualità, indubbie per la maggior parte di chi li osserva, ma, al contrario, è legata alla costanza che può mancare alle proprie prestazioni.

Nei momenti in cui va tutto male, in cui nulla sembra andare per il verso giusto, è facilissimo abbattersi, pensare di non riuscire a superare un determinato ostacolo: le gambe non vanno più, la ballerina non è più snella e leggiadra come prima, la sua arte è meccanica, non più fluente.

E’ proprio da queste situazioni, però, che, se si riesce ad uscirne, si ricavano delle nuove consapevolezze, delle inedite ed inaspettate forze, le quali, da lì in poi, diventano la marcia in più di questo tipo di giocatori.

Vero, Matias?

Un fiore d’Oceano

Nascere in una città di mare, di qualunque esso si tratti, è sempre un’esperienza che tende a differenziare certe persone dalle altre, visto che le enormi distese di acqua salata continuano per tutta la vita ad esercitare un richiamo forte e continuo.

Se poi, addirittura, si nasce affacciati direttamente sull‘Oceano, il quale, se visto dalla spiaggia, sembra veramente non terminare mai, allora il senso d’appartenenza è ancora più forte, irresistibile a volte, incapace di essere taciuto.

La mentalità, dunque, non può che esserne condizionata e, di conseguenza, la curiosità risulta quasi sempre essere la dote maggiore di chi vi nasce, abituato, fin da piccolo, ad osservare l’orizzonte, chiedendosi cosa ci sia dall’altra parte.

L’estro, poi, non può che venire di conseguenza e, allora, non può essere un caso che un giocatore come Matias Soulé, diretto discendente della lunga serie di fenomeni nati, cresciuti e sviluppatesi sulle coste atlantiche dell’Argentina, sia nato proprio in un territorio del genere.

Lì, a Mar del Plata, dove l’Italia, nel 1978, si concesse di battere la fortissima, e altrettanto aiutata, Albiceleste di Menotti, l’attuale numero 18 della Roma ha mosso i primi passi, sia quelli biologici che quelli sul campo da calcio, che, in poco tempo sarebbe diventato il suo vero ecosistema.

Fin da piccolissimo, infatti, a tutti apparve assolutamente lampante che Soulé non era un semplice bambino, ma decisamente qualcosa di più, destinato a lasciare, un giorno, il porto della sua città natia, dirigendosi quella terra sconosciuta che si poteva solo immaginare dalla sua spiaggia.

La gavetta di Soulé

Che la Juventus abbia un’ampia rete di osservatori è un fatto abbastanza risaputo, se è vero che, fin dagli anni Cinquanta, l’allora società di Gianni Agnelli si è sempre differenziata dalle altre per questa particolare attenzione nei confronti dei talenti da sviluppare.

Un gioiello, ancora grezzo, come Matias Soulé, dunque, non poteva di certo non attirare l’interesse dei bianconeri, i quali, nel 2020, lo portarono a Torino, lanciandolo fin da subito in Serie C con la maglia della Next Gen, insieme ad altri giovani promettenti come Fagioli e Miretti.

La stella di Mati, la sua luminosità era talmente grande che Max Allegri, una volta tornato alla Continassa, non ci mise molto a dargli fiducia con la prima squadra, permettendogli di esordire nel campionato italiano e di iniziare a frequentare con continuità lo spogliatoio della prima squadra.

D’altronde, era evidente a tutti: Soulé aveva un grande talento, incapace di essere nascosto da tatticismi vari, utile nel creare in ogni momento superiorità numerica e vantaggi.

Aveva, però, anche un gran bisogno di giocare e, di conseguenza, la scelta dei bianconeri, ritenendo di non potergli fornire lo spazio necessario, fu quella di spedirlo in prestito in una neopromossa come il Frosinone, desiderosa di un leader che le mettesse in moto l’attacco.

DiFra, che Mati incontrò in Ciociaria, lo incoronò in tal senso, fornendogli ampissima libertà nel suo 4-3-3, nel quale, soprattutto nella prima parte di campionato, l’argentino sguazzò letteralmente, imponendosi come una delle rivelazioni più grandi della scorsa Serie A.

Alla fine di questa, nonostante la retrocessione del Frosinone, l’asta per accaparrarselo non poté che incendiarsi subito e, alla fine, dopo un lungo tira e molla, fu una vicina di casa dei ciociari ad acquisirne i diritti sportivi.

Si sa, d’altronde, che “All roads lead to Rome”.

Il nuovo “principe del Foro”… o no?

Come è abitudine per il mondo romanista, un acquisto prestigioso come quello di Soulé non poteva che essere salutato con grande entusiasmo da tutto il popolo giallorosso, il quale, incantato dalla qualità delle sue giocate, lo riteneva già il futuro padrone della città.

Nonostante sia paradossale, l’enorme ed esagerato affetto, condito da una mole di aspettative non indifferente, che caddero immediatamente sulle spalle dell’allora ventenne, non fu di facile sopportazione per Matias, il quale, fino a quel momento, era rimasto abbastanza lontano dai riflettori.

Durante le prima parte di campionato, dunque, il fiore faticava a sbocciare, la stella ad illuminare, sebbene l’argentino ci provasse con tutti i suoi mezzi, tentando, in ogni situazione, di passare per la giocata più bella ed incantante, dimenticandosi, talvolta, di risultare anche utile.

Dall’entusiasmo, in piena linea con ciò che succede spesso a Roma, si passò subito alla contestazione più assoluta e, di conseguenza, Mati cadde in un periodo di grande difficoltà, in cui iniziò a vedere il campo con il binocolo, quasi sempre relegato in panchina.

E’ stato un momento complicato, in cui tutte le certezze che le precedenti esperienze lo avevano aiutato a costruire stavano vacillando paurosamente, colpite da pressioni e commenti cattivi provenienti da ogni parte, desiderosi di far ripiombare nel fango quell’ “aspirante fiore”.

Da situazioni del genere difficilmente si esce da soli e, molto spesso, una figura più matura e saggia è assolutamente indispensabile, vitale per compiere un cammino del genere.

La fortuna di Soulé è stata quella di trovarla.

Soulé e Ranieri: nipote e nonno

Si sa che, molto spesso, i bambini viziati dai propri familiari sono sempre quelli che poi nella vita tendono ad avere più difficoltà, ritrovandosi incapaci di compiere qualsiasi azione da soli, spersi nel mondo da cui sono stati sempre protetti.

E’ meglio, di conseguenza, non dire sempre di sì: un rifiuto, una negazione, possono alla lunga, risultare decisivi per la crescita umana e, in questo caso, sportiva di un certo individuo.

Da grande ed esperto saggio qual è Ranieri, dunque, era inevitabile che l’allenatore della Roma non fornisse subito a Matias ciò che gli era mancato nei primi mesi di Roma, spedendolo subito in campo e regalandogli la titolarità che, fino a quel momento, non si era meritato.

E, allora, ecco che l’argentino ha continuato a sedersi comodamente in panchina per tutta la prima fase della gestione di Claudio, il quale, sia in allenamento che ai microfoni dei giornalisti, non ha mai smesso di difenderlo, dicendosi assolutamente fiducioso riguardo alle sue qualità.

Queste ultime sono state sapientemente limate a dovere dall’allenatore romano, il quale ha fatto comprendere al ragazzo argentino come fosse necessario che, volente o nolente, inserisse nel suo gioco anche delle doti difensive, ritenuta dal “Sir” imprescindibili.

Appare evidente, quindi, come il Soulé visto a San Siro e quello ammirato nelle ultime gare sia il frutto di un lavoro da artigiano, eseguito dal signore di Testaccio per aiutare Matias a liberarsi dei pesi superflui, di ciò che gli imbrigliava i petali prima.

Ora il ragazzo di Mar del Plata è uno splendido fiore, che, fortunatamente per i tifosi della Roma, ha appena iniziato a sbocciare: il bello deve ancora venire.

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