La clamorosa debacle del Franchi di ieri sera è solo l’iperbole di un cammino disastroso da parte della dirigenza della Roma.
Durante tutto l’arco della nostra vita, specialmente quando tutto ciò che accade tende ad essere di natura negativa, molto spesso abbiamo l’abitudine di attribuire ciò alla caducità del Caso, alla sua volontà segreta ed impronosticabile.
E’ un comportamento assai umano questo, visto che, affermando come, se ci è successo qualcosa di brutto, la colpa sia di un ente superiore, di un qualcosa di cui non si conoscono forma né tantomeno dimensioni, prendiamo le distanze da ogni nostra responsabilità, auto-assolvendoci immediatamente.
Sarebbe molto semplice, dunque, per i tifosi e, soprattutto, per i dirigenti della Roma ritenere che la tremenda sconfitta di ieri sera, allibente per usare un eufemismo, sia stata semplicemente un evento fortuito, un qualcosa di assolutamente casuale.
Sarebbe sicuramente facile, ma non veritiero ed onesto, se è vero che, fin da prima dell’inizio di questo campionato, la società presieduta dai Friedkin ha tentato in ogni modo di complicarsi la vita, sbagliando clamorosamente ogni tipo di scelta, sia di natura tecnica che, in particolar modo, societaria.
Il 5 a 1 di ieri sera, una delle sconfitte più pesanti e sconfortanti degli ultimi anni romanisti, non è altro, quindi, che il frutto di un bruttissimo percorso, costituito da incomprensioni, pessime gestioni e, in misura paradossalmente assai maggiore, di pochissima lungimiranza.
Da dove siamo partiti?
Per raccontare questa storia, che, più si andrà avanti più tenderà ad assumere i contorni di un’autentica tragedia greca, è assolutamente necessario partire dall’inizio, esattamente dal principio del calciomercato e dalla fase di pre-campionato che ha anticipato la Serie A.
Nonostante sembri assurdo dirlo ora che la Roma ricopre l’undicesima posizione in classifica, infatti, la squadra capitanata da Lorenzo Pellegrini era una fra le compagini più in rampa di lancio del nostro paese, grazie allo splendido girone di ritorno 2023-24 condotto sotto la guida di Daniele De Rossi.
Quest’ultimo, confermato a furor di popolo dopo l’ottimo subentro della scorsa stagione, aveva ricevuto dai Friedkin un potere pressoché illimitato riguardo alle scelte di mercato e, di conseguenza, il tecnico ostiense, durante tutta l’estate, ha potuto pazientemente disegnare la sua rosa, secondo l’idea di calcio che intendeva perseguire.
Ecco, dunque, che, all’inizio di agosto, a Roma arrivarono prima Soulé, richiestissimo da DDR, e il centravanti necessario per rimpiazzare Lukaku, ossia Artem Dovbyk, i quali, con il loro arrivo, riuscirono a infiammare l’intero popolo giallorosso.
A circa venti giorni dall’avvio della Serie A, la Roma appariva dunque come un veliero dal vento in poppa, pronta per tornare a conquistare un piazzamento Champions dopo tanti anni.
Come sempre nella storia giallorossa, però, l’imprevisto non poteva che essere dietro l’angolo.
Il tango che ha fatto girare la testa alla Roma
La notizia che Paulo Dybala avrebbe potuto lasciare la Capitale, trapelata a circa una settimana dall’avvio della Serie A, fece letteralmente tremare la Roma e il suo popolo, affezionatissimo al suo calciatore di maggior valore.
Un vero e proprio fulmine a ciel sereno che, oltre a destabilizzare tutto l’ambiente, scoperchiò anche il vaso di Pandora riguardo agli acquisti che mancavano per rendere la squadra veramente competitiva, visto che il centrale e il mediano tanto richiesti da DDR tardavano ancora ad arrivare.
Quei giorni, segnati, dunque, da una grande incertezza e da un’avvilente tristezza, scombussolarono tutta la società, che si ritrovò al centro di una serie di speculazioni poliziesche da parte della propria tifoseria, la quale cercava disperatamente di capire chi fosse il reale colpevole del possibile addio di Dybala.
L’annuncio ad effetto dell’argentino, però, che svelò di aver rifiutato la faraonica offerta saudita, risollevò il morale di tutto l’ambiente, a cui, dopo giorni bui, sembrò di poter tornare a respirare aria fresca, non accorgendosi che, nascoste dalla permanenza della Joya, rimanevano numerose problematiche da risolvere.
L’avvio problematico della Roma
3 punti in 4 partite: fu questo il bottino raccolto dai giallorossi di De Rossi nelle prime giornate di questa Serie A, quando, al netto di un buon 0 a 0 a Torino contro la Juve, arrivarono tre risultati assolutamente deludenti, quali i pareggi con Cagliari e Genoa e la bruttissima sconfitta casalinga contro l’Empoli.
I problemi maggiori della Roma, in quel poker di partite, furono, in particolare, l’assenza, al contrario dell’annata precedente, di una manovra fluida e divertente, che permettesse a Dovbyk e agli altri attaccanti di ricevere adeguatamente il pallone.
Evidente, poi, era la questione della convivenza, piuttosto attuale anche a quaranta giorni di distanza, fra i connazionali Dybala e Soulé, entrambi ritenuti troppo offensivi per poter essere schierati contemporaneamente nello stesso tridente.
DDR, dunque, per cercare di ovviare a questi equivoci tattici, ritenne opportuno sconfessare il suo 4-3-3, che, durante il girone di ritorno 23-24, non aveva quasi mai abiurato, ritenendolo il modulo più adatto alla sua squadra.
Il 3-5-2, dunque, divenne la nuova disposizione in campo della Roma, la quale si posizionò in questa maniera in campo per appena due partite, prima che avvenisse ciò che nessuno avrebbe mai pronosticato come realmente possibile.
L’esonero di DDR
Dopo appena quattro partite, ma, soprattutto, con ancora tre anni di contratto, assicurati qualche mese prima, Daniele De Rossi, la mattina del 18 settembre, venne esonerato dalla dirigenza della Roma, la quale, secondo i numerosi insider, non era assolutamente contenta dell’andazzo preso dalla squadra.
Su cosa sia successo a Trigoria in quelle ore si è discusso tantissimo, forse troppo, ma, alla fine dei conti, la situazione fu questa: via De Rossi, acclamato da un bagno di folla accorsa in sua difesa, e dentro Ivan Juric’, chiamato, a detta dei Friedkin, “per conquistare dei trofei”.
In un clima così surreale, dunque, la squadra, che fece comprendere a tutti di non essere d’accordo con la scelta della società, si preparò per l’importante gara con l’Udinese di domenica 22 settembre, cercando di isolarsi dal caos mediatico che governava la città in quei giorni.
A poche ore della gara, però, arrivarono improvvisamente le dimissioni, molto probabilmente indotte, della CEO greca Lina Souloukou, la quale, secondo molti, aveva ricoperto un ruolo molto importante nella decisione di esonerare DDR, con cui aveva avuto dei contrasti in passato.
Dopo la vittoria sui friulani (ad oggi la miglior partita della stagione giallorossa), la Roma si ritrovò dunque in una situazione assolutamente instabile, disponendo di un allenatore imposto ai calciatori e di un direttore sportivo poco presente, essendo, ovviamente, priva di un CEO.
I 40 giorni di Juric’
Giudicare l’era Juric’, arrivata al quarantesimo giorno, è abbastanza difficile visto che il croato, che non ha certamente ottenuto i risultati sperati, ha avuto pochissimo tempo per lavorare con una squadra, tra l’altro, non costruita da lui.
Non può essere, quindi, un caso se la Roma del tecnico croato non abbia mai convinto nessuno, apparendo non solo completamente spogliata dell’identità che le aveva dato De Rossi, ma, soprattutto, priva di una sua personalità.
La squadra che abbiamo potuto vedere in queste otto partite, nella quale, fra campionato ed Europa League, sono arrivate tre vittorie, due pareggi e due sconfitte, non ha mai, infatti, dato la sensazione di possedere delle doti peculiari.
Al contrario, l’impressione che si è maggiormente avvertita guardando questa Roma è quella di essersi trovati di fronte ad una squadra totalmente in confusione, incapace di abbracciare la filosofia di Juric’ perché ancora legata a quella di DDR.
Un “pastrocchio”, dunque, che ha portato ben pochi dividendi e che ha raggiunto il suo apice nell’orribile prestazione di ieri sera, quando la Fiorentina ha passeggiato su una squadra stanca, demotivata e completamente disarmata al cospetto della maggiore aggressività viola.
“‘Ndo volemo anna?”
La domanda che dà il titolo al paragrafo conclusivo di questo lungo racconto, che spero possa aver reso l’idea di cosa siano stati gli ultimi mesi giallorossi, è probabilmente quella che tutti i tifosi della Roma si sono posti ieri sera, quando, osservando con gli occhi spenti le immagini dell’Artemio Franchi, hanno assistito alla tremenda carneficina consumatasi nella città gigliata.
E’ complicato rispondere a questo quesito, ma, alla luce di ciò che è successo in quest’ultimo periodo, personalmente ritengo che sia possibile fornire delle risposte ad altre domande, come la seguente: è intelligente e logico esonerare un allenatore dopo quattro giornate e un triennale appena firmato? No, assolutamente no.
E’ possibile, per un direttore sportivo appena arrivato, non rilasciare alcun tipo di dichiarazione in una situazione così complicata per la propria squadra? No, assolutamente no.
E’ furbo scegliere di “scendere in campo”, in maniera assai berlusconiana, direttamente dagli Stati Uniti nel tentativo di ribadire il proprio potere in una città come Roma? No, assolutamente no.
E’ corretto cercare un capro espiatorio in un allenatore arrivato da quaranta giorni e a cui è stata consegnata una squadra costruita da un collega dalle idee completamente diverse? No, assolutamente no.
Ma, soprattutto, è possibile continuare ad investire soldi e tempo senza alcun tipo di progettualità, affidandosi solo all’istinto e rinnegando ogni logica? No, non è possibile.
Foto: instagram personale Paulo Dybala.