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Pasalic’, silenzioso, ma letale: storia di un cobra sempre presente

Pasalic', storia di un killer silenzioso.

Parla poco, si lamenta ancora meno, ma ha scritto alcune delle pagine più belle della storia atalantina: la storia di Mario Pasalic’.

I serpenti, specialmente i più letali, basano la loro forza, la loro capacità di cibarsi degli altri animali, su due principali qualità: la rapidità e, soprattutto, il loro essere estremamente silenziosi, quasi sempre mimetizzati nel paesaggio circostante, pronti a sorprendere i malcapitati.

Non li vedi, non li senti e, di conseguenza, non puoi prevedere quando e come ti attaccheranno: difendersi da uno di questi esemplari, specialmente se ti aggredisce alle spalle, è quasi del tutto impossibile.

Questa razza di rettili, dunque, è una delle più pericolose del pianeta, titolo che ha guadagnato accettando umilmente di sfruttare quelle che erano le sue caratteristiche principali, consapevole di non potersela giocare a viso aperto contro animali più grandi e potenti muscolarmente.

I serpenti hanno dovuto usare l’astuzia, giocare nelle zone d’ombra, nascondendosi dalla luce del sole e strisciando in maniera apparentemente modesta, accettando di essere tra i più “bassi” degli esseri viventi per essere poi considerati tra quelli maggiormente letali.

Ci vuole intelligenza, ne serve tantissima e, in un mondo come quello di oggi, sono veramente in pochi a comprendere come, a volte, sia meglio passare inosservati piuttosto che abbronzarsi alle luci della ribalta, tanto appaganti quanto tremendamente effimere.

Deve saperlo benissimo Mario Pasalic’, il quale, in tutta la sua permanenza a Bergamo, ha sempre garantito al Gasp il suo fondamentale apporto, prendendosi la scena quasi sempre all’improvviso, senza che nessuno si fosse realmente accorto di lui.

Dopo la sua rete odierna, anch’essa arrivata grazie ad uno dei suoi assalti da dietro, non poteva, quindi, che essere lui il protagonista della seconda puntata di “Gimme a man after midnight”.

Gente di mare

Che la storia di Pasalic’ prima o poi si dovesse incrociare con quella dell’Italia, è sembrato abbastanza inevitabile fin dalla sua infanzia, trascorsa sulle rive orientali del Mar Adriatico nella cittadina croata di Castel Abbadessa, antico possedimento veneziano.

Chissà quante volte ci avrà pensato alla nostra terra il piccolo Mario, quel bambino che, nato in Germania, non sapeva bene di che nazionalità considerarsi, se è vero che, cresciuto in un paese giovane e da ricostruire dopo le intemperie della guerra, non percepiva bene la sua identità.

Il mare, forse, era l’unica cosa che, comunemente a tante altre persone nate e cresciute osservando infinite distese d’azzurro sale, lo identificava meglio di ogni altra etichetta.

Osservarlo, probabilmente, era l’unica cosa che, in quegli anni di incertezze, gli infondeva la tranquillità di dedicarsi alla sua vita, di cercare di scovare dei lati positivi anche nei resti che un conflitto brutto ed inutile come quello jugoslavo aveva lasciato.

Il pallone, come sempre in queste situazioni, non poté che rappresentare un’importantissima valvola di sfogo, un amico sì da calciare, ma anche da tenere sul palmo di una mano, compagno indissolubile di mille avventure.

A furia di giocarci, poi, era naturale che Mario, grazie anche alle sue non indifferenti doti fisiche, potesse un giorno attirare l’attenzione di qualche squadra più blasonata del modesto Gosk e, difatti, ad appena undici anni il giovane Pasalic’ venne contattato da una delle società più importanti di tutta la nazione, vale a dire l’Hajduk Spalato.

Fu proprio lì, nella città dove Diocleziano volle anticamente costruire uno dei suoi tanti palazzi, che il ragazzo venuto dal mare conobbe la sua maturità calcistica, iniziando a comprendere che quell’amico avrebbe potuto diventare anche un socio in affari.

Quando dall’Oltremanica arrivò anche la chiamata dei Blues di Londra, Mario ne ebbe la definitiva conferma.

Il cavaliere errante

Alto, biondo e con gli occhi azzurri, dal portamento altero e, allo stesso tempo, elegante: Pasalic’, agli occhi dello staff del Chelsea, probabilmente doveva ricordare uno dei tanti cavalieri che, nel Medioevo, fecero la fortuna dei cantastorie britannici, affascinati da questi soldati e dalle loro leggendarie imprese.

La potenza con cui il giovane croato navigava la metacampo, sgroppando numerosissime volte da una parte all’altra del terreno di gioco con la palla al piede, era una qualità non indifferente, su cui, secondo i dirigenti inglesi, si doveva assolutamente investire.

Ma non lì, non a Stamford Bridge: con quella maglia così pesante addosso, Mario avrebbe finito per esserne schiacciato e, di conseguenza, la società di Roman Abramovich decise di riservargli quello che, nel Settecento, era conosciuto come il “Grand Tour“.

Il giovane cavaliere, infatti, divenne un soldato errante, intento a girovagare per tutto il Vecchio Continente, guadagnandosi minuti e fiducia in tutte le squadre per le quali si ritrovò a giocare, che fosse in Spagna, in Francia, in Russia o in Italia.

Proprio da noi, arrivato sulla sponda rossonera del Naviglio, fu una delle rivelazioni più interessanti della stagione 2016-17, che vide il ritorno del Diavolo in Europa dopo stagioni deludenti, oltreché la vittoria della Supercoppa contro la Juventus, in una gara dove proprio il croato fu molto importante.

Alla fine di ogni annata, però, nonostante le buone prestazioni ed una vena realizzativa ampiamente dimostrata, nessuna di queste società se la sentiva di acquistare definitivamente il suo cartellino e, così, il biondo di Castel Abbadessa finiva sempre per tornare alla casa madre londinese.

Nel 2018, poi, arrivò la svolta: da Bergamo, un mago, simile al tanto decantato Merlino, lo chiamò alla sua corte.

Alla corte di Mago Gasp

Gianpiero Gasperini, da quando si è seduto sulla panchina dell’Atalanta, fino a quel momento mai capace nemmeno di sognare la vittoria di uno scudetto o, ancora di più, di un trofeo europeo, ha iniziato ad assumere sempre più le sembianze di un vero e proprio stregone, capace, con la sua cura, di donare a tutti i calciatori orobici delle qualità di cui prima non disponevano.

Il piemontese, per compiere la sua magia, chiedeva (ed esige tutt’ora) solo una cosa: l’umiltà.

A Gasp, infatti, non sono mai piaciuti gli spacconi e, di conseguenza, ha sempre lasciato ben intendere ai suoi giocatori che avrebbe adoperato la sua cura solo su coloro che si sarebbero sacrificati per la causa senza troppe lamentele, mettendo da parte egoismi ed aspettative varie.

Pasalic’ lo comprese benissimo e, già dalla stagione 2018-19, non si arrabbiò mai per il minutaggio intermittente che Gianpiero gli fornì durante tutta l’annata, impiegandolo solo in situazioni ritenute ideali per le sue capacità.

Come promesso, nonostante questa discontinua fiducia, la magia si compì e, in breve tempo, Mario è divenuto il calciatore letale ed estremamente funzionale che conosciamo oggi, capace di siglare alcune delle reti più importanti della storia della Dea.

Da Manchester a Liverpool, passando per molti altri campi battezzati dai suoi inserimenti a sorpresa, risultati di complicatissima lettura per tutte le difese d’Europa, fattesi trovare molto spesso impreparate di fronte ai suoi agguati da cobra.

Un uomo nell’ombra, un calciatore che ha imparato ad accettare un nuovo ruolo, diverso da quello di cavaliere bello ed elegante che sembrava tagliato su misura per lui, ma, evidentemente, assai più efficace e produttivo.

Non c’è più da stupirsi, dunque, quando si legge che Pasalic’ ha risolto un’altra gara dell’Atalanta: i serpenti sono così, si percepiscono solo quando ti mordono.

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