Oggi puntata crossover di Open Var dopo andiamo a scoprire la carriera di un arbitro a raggi X dalle giovanili alla A.
Spesso si parla delle difficoltà che un calciatore deve superare per arrivare al top, ma in realtà il percorso di un arbitro è ben peggiore.
Oggi andiamo a scoprire ai raggi X come può un ragazzo arrivare ad arbitrare in Serie A e tutte le difficoltà che intercorrono per raggiungere questo ( difficile) obiettivo.
Ai raggi X non si sottoporrà solo la carriera dell’arbitro, ma anche dall’ambiente in cui deve arbitrare soprattutto nei primi anni.
Open Var, l’arbitraggio a raggi X
Un ragazzo, normalmente approccia al corso per diventare arbitri per due motivi: vede il manifesto che pubblicizza il corso con tutti i benefici che questo da ( partite gratis allo stadio, rimborso spese,ecc…) o perché un amico che legge questo manifesto glielo consiglia.
Dopo aver assistito al corso, si dovrà sottoporre ad un esame riguardante le regole del regolamento del Giuoco del Calcio e solo dopo avrà la divisa, con fischietto e taccuino pronto per arbitrare.
Il primo match
L’attesa è tanta fino a quando non arriva oggi una mail o in passato una lettera con scritto: “nome e cognome” è stato designato per la gara fra “Tizio e Caio” il giorno tot alle ore tot.
Ed è qui che il cuore inizia a battere forte e non si aspetta altro che la partita. La prima partita avrai un tutor che ti spiega tutte le procedure pre partita, ma poi in campo scendi da solo, senza assistenti( ci sono ma sono di parte), senza quarto uomo, senza Var( ovviamente); da solo contro tutti.
E quindi darai il calcio d’inizio ma per i primi attimi di partita non fischierai assolutamente nulla perché la pressione che senti è talmente alta da non farti percepire la partita.
Ma poi inizi a scioglierti, a fischiare qualche fallo, ad ammonire i primi giocatori, a fischiare calcio di rigore; poi fischi la fine e tutti ( nella maggior parte dei casi) una volta finita la partita vengono a scambiare i complimenti con l’arbitro, vai negli spogliatoi, ti guardi allo specchio e pensi “è andata”.
Da quel momento in poi, sembrerà strano, ma tutto è in discesa. La strada per arrivare in alto è lunga e tortuosa ma con i suddetti requisiti non è affatto impossibile: preparazione atletica, conoscenza calcistica, conoscenza ai raggi X del regolamento AIA, personalità ( fondamentale) e rigore nelle decisioni.
L’ascesa alla Can
Così inizierai a scalare le categorie ma a differenza dei “colleghi” calciatori dovrai anche lavorare e l’arbitraggio sarà solo un hobby anche in Serie C, solo alla Can l’arbitro è un mestiere.
E così da solo in campo nei campi di periferia, passerai ad essere coadiuvato da due assistenti( che rappresenta la svolta più grande perché non devi più prestare attenzione al fuorigioco e puoi dedicarti solo alla palla) in prima Categoria, poi andrai in eccellenza e saluterai la tua sezione per arrivare al Cra( Comitato regionale arbitrale).
Continui in promozione, eccellenza e poi il magico salto alla Can, Can D in questo caso che è unica a livello nazionale; inizierai a fare raduni nazionali con le più illustri personalità dell’aia e se vuoi spiccare il volo questo è il momento di farti notare dagli osservatori.
Poi il passaggio dalla Can D, alla Can C è possibile anche senza talento, invece per l’approdo alla Can devi essere nato per quello ma da lì in poi è un sogno che si realizza e ovviamente avrai il quarto uomo, assistenti, Var e tutti gli strumenti necessari per lavorare al meglio.
In conclusione, quelli che vediamo in A sono solo l’eccellenza degli arbitri, ma il vero arbitraggio si fa in periferia per la passione di stare in campo, si fa rapportandoci con la sezione, con il comitato regionale, a questi livelli l’AIA è una vera e propria seconda famiglia.