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Orsolini, un continuo bussare: storia di un ragazzo determinato

Orsolini, la sua storia.

Dopo aver garantito la vittoria al suo Bologna, Riccardo Orsolini si è guadagnato la terza puntata di “Gimme a man after midnight“.

Cosa sarebbe successo se Massi non avrebbe continuato a suonare al citofono di Simona in quella magica e indimenticabile notte prima degli esami? Sicuramente i due non si sarebbero rimessi insieme, lasciando che la loro relazione si concludesse senza un lieto fine.

Cosa avrebbe potuto capitare se Giacomo non avesse bussato un’altra volta alla porta di Giovanni dopoché quest’ultimo gliel’aveva appena sbattuta in faccia? Sicuramente la trama di uno dei più bei film del leggendario trio comico non avrebbe potuto svilupparsi.

E, infine, per ricollegarci al protagonista di questo pezzo, cosa sarebbe potuto capitare se, invece che continuare imperterrito a farsi sentire all’uscio delle grandi squadre, Riccardo Orsolini, scartato dall’Atalanta, avesse smesso di provarci, demoralizzandosi per il trasferimento?

Di sicuro l’attuale numero sette del Bologna non sarebbe il calciatore che è oggi, senza alcun dubbio fra i migliori esterni a disposizione al momento in Italia, dove, con dodici reti e numerosi assist, sta trainando la società di cui è diventato tifoso verso un’altra impresa impossibile.

La semi-rovesciata di stasera, arrivata quasi all’ultimo secondo, quando nemmeno il più ottimista dei tifosi felsinei presenti allo stadio poteva sognare la vittoria contro i rivali nerazzurri, ha proiettato, infatti, i rossoblù al quarto posto, in attesa di sapere quale sarà il risultato finale delle sfide del Tardini e di Marassi.

Onestamente, ad ora poco importa: in questa puntata di “Gimme a man after midnight” il protagonista non può che essere solamente Riccardo Orsolini.

Piccolo e sconosciuto

Bagnate dal Mar Adriatico, a lungo dominio assoluto della Serenissima, le Marche sono senza dubbio una regione particolare, ricca di storia e cultura, ma, allo stesso tempo, tremendamente silenziosa e poco considerata dal resto dell’Italia.

Dotata di dialetti e popolazioni diverse, questa zona del nostro paese risulta essere ai più abbastanza anonima, costituita da persone di cui non si conoscono usi e costumi, poco interessanti per i salotti di metropoli come Roma, Milano o Napoli.

Nel silenzio assoluto di quei monti che si sporgono nel mare, chiusi nei loro paesi medioevali, abitati da gente tremendamente laboriosa, i marchigiani, come direbbero descrivendosi, “fanno zitti zitti il loro”, senza alzare mai la testa ed evitando le luci della ribalta.

Nell’anonimato e nel silenzio, di conseguenza, si muovono anche i protagonisti dello sport che vi sono nati, i quali, spaziando dal basket alla scherma, non sono famosi per essere dei grandi chiacchieroni, come tende a confermare la famosa eccezione, ossia il mito olimpionico Gimbo.

Lui, però, è anconetano, è nato e cresciuto nel capoluogo dove, grazie alla potenza burocratica sul resto della regione, tendono ad alzare un po’ più la cresta.

Orsolini, invece, è di Ascoli Piceno, appartiene ad una zona delle Marche completamente diversa, al confine con l’Abruzzo, fatta di piccoli borghi e ampie valli montane, lontane anni luce dal lungomare e dal porto della città dorica.

E’ lì, crescendo (a livello calcistico, visto che la statura non sembrava farlo) nella squadra della sua città, che Riccardo ha iniziato a muovere i primi passi fra i professionisti, dando il via ad una carriera in salita già in partenza.

Un inizio difficile

Si sa, quando la Juventus chiama, in Italia e non solo, non si può che rispondere in maniera affermativa, accettando di accasarsi alla squadra più titolata di tutta la Penisola e rimettendosi passivamente ad ogni sua volontà, perfino alla più bizzosa.

Ecco che, dunque, un prestito immediato, arrivato non appena Orsolini aveva raggiunto il Piemonte dopo le due stagioni con l’Ascoli, non poteva che essere accettato di buon grado dal marchigiano, il quale comprese subito come, partendo da Bergamo, avrebbe dovuto guadagnarsi sempre la pagnotta da lì in poi.

E poi, a volerla guardare bene, l’Atalanta di Gian Piero Gasperini, reduce dal primo piazzamento importante della lunga serie che continua ancora oggi, sembrava essere proprio la destinazione ideale per Riccardo, il quale, in una squadra offensiva e giovane come quella orobica, non poteva che trovarsi bene.

Il Fato, purtroppo, sa essere sorprendente e, di conseguenza, Orso non riuscì a trovare la sua collocazione nella Dea del Gasp, il quale, a Gennaio, fece capire caldamente alla dirigenza che non intendeva dargli spazio, non ritenendolo adatto al suo gioco.

Sbam: una bella porta chiusa in faccia, una di quelle che, prese lì per lì nel muso, fanno veramente male, tanto male. Hanno una potenza così forte che perfino il più intrepido e tenace dei sognatori non può che vacillare di fronte ad esse, domandandosi se veramente non sia il caso di cambiare strada.

Il detto, però, lo dice chiaramente: “Per una porta che si chiude…”

“…si apre un portone”

L’esperienza di Riccardo Orsolini a Bologna, in una delle città più romantiche e affascinanti d’Italia, è stata sicuramente un crescendo assai emozionante, molto interessante in ogni singolo passaggio, se è vero che rappresenta una storia calcistica di stampo molto retrò.

Nelle ultime stagioni, infatti, il talento di Ascoli è cresciuto di pari passo con la sua squadra, aumentando, ogni stagione, il proprio rendimento così tanto da, nell’ultima annata, arrivare a centrare un obiettivo inizialmente impensabile come la qualificazione alla Champions.

Una vorticosa ascesa, un ascensore che, livello dopo livello, ha osato raggiungere i piani più alti di un grattacielo che, a questo punto, il Bologna, nei prossimi anni, vuole finire definitivamente finire di scalare, riportando a casa, magari in un futuro non troppo anteriore, un trofeo che manca da tantissimi anni.

Per il momento, però, essere in lotta di nuovo per l’accesso alla massima competizione continentale grazie alle giocate di quello che è diventato una bandiera felsinea, dopo tante annate deludenti, non può che andare bene ai tifosi emiliani, che si godono il proprio Ronaldo.

Riccardo, infatti, sia per la posa durante le punizioni, sia per il rendimento continuamente crescente che ha messo a disposizione, per molti suoi sostenitori è diventato semplicemente “Orsonaldo”, a riprova di come le sue giocate siano state decisive per le sorti del club rossoblù.

Con quella attuale, infatti, Orsolini ha toccato le quattro stagioni in doppia cifra complessiva, dimostrandosi un attaccante completo e assai prolifico nonostante la sua posizione esterna.

Evidentemente, però, il ragazzo di Ascoli non è riuscito a convincere proprio tutti e, come ha fatto nel resto della sua carriera, dovrà nuovamente bussare con forza ad un’altra porta, questa volta di colore azzurro.

Toc, toc Luciano

Edmondo Fabbri, quando nel 1966, per ripicca nei confronti dell’Inter, non convocò i nerazzurri Sarti, Picchi e Corso, diede vita, per dirla con le parole di Federico Buffa, “ad una controversia tattica che infiammò l’Italia intera”.

Allo stesso modo, in questo 2025 così lontano dall’estate del mondiale inglese, Luciano Spalletti, diventato selezionatore azzurro nel 2023, sta irritando gli animi della gran parte dei tifosi italiani, i quali non si capacitano di come uno dei mattatori dell’attuale Serie A non sia stato convocato nelle ultime uscite della Nazionale.

Il ct toscano, che ha già dimostrato ampiamente il suo valore in precedenza, non sta ascoltando le numerose critiche che gli sono giunte, nonostante, se si vuol bene analizzare la situazione, un calciatore come il numero sette del Bologna, in grado di generare superiorità numerica con la propria abilità in uno contro uno, servirebbe molto agli azzurri.

La sensazione, già avvertita fortemente ad Euro 24, è, però, che l’allenatore di Certaldo si stia lasciando guidare soprattutto dai suoi dettami tattici, ritenendoli più importanti e fondamentali rispetto alle risposte che, ad oggi, gli sta fornendo la massima competizione nazionale.

Il suo, secondo il parere di chi scrive, è un errore abbastanza grave, visto che, quando si diventa allenatori di una nazionale, non si può pretendere, consci del poco tempo a disposizione, di imporre a tutti i costi la propria filosofia di gioco, tentando di riproporre gli automatismi di una squadra di club.

Il commissario tecnico non può essere un mister dai rigidissimi dogmi, ma, al contrario, un uomo disposto ad adattare il proprio modo di giocare ai calciatori a disposizione, tentando di sfruttarne le qualità migliori. A mio parere, citando proprio Luciano, “non c’è altra strada”.

In ogni caso, Spalletti può stare tranquillo: Orsolini continuerà a bussare.

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