Conseguentemente a quello che accade nel mondo fuori, anche il nostro sport si sta coprendo di una tinta color nero assai pericolosa.
Federico Buffa, per molti e per anche il sottoscritto, è uno dei più grandi narratori sportivi che si possono trovare in circolazione, non solo nel nostro paese, ma anche nel resto del mondo, a causa di una capacità di aggettivazione fuori dalla norma e da un’abilità nell’intrattenere chi lo ascolta veramente unica, difficilissima da reperire.
Un suo libro, quello che ispirato la celebre trasmissione televisiva del 2014 “Storie Mondiali”, scritto in collaborazione con Carlo Pizzigoni, è stato uno dei testi che ha segnato tutta la mia infanzia.
A soli sette anni, infatti, lessi quel manoscritto, trovato a casa di nonna e zia, aspettandomi di sentir parlare dello sport che più mi appassionava in quel momento e, in particolare, della kermesse più bella e seguita del nostro pianeta, capace di incollare ai teleschermi 195 nazioni.
Nonostante rimasi sicuramente soddisfatto dalle storie calcistiche che vi erano raccontate, fui anche abbastanza sorpreso nello scoprire che quell’opera maestosa partiva da narrazioni di tipo sportivo per allargarsi, come fa sempre Buffa, a racconti che abbracciavano ogni ambito della cultura umana, specie quello politico.
Compresi, dunque, citando direttamente una delle frasi del libro, che “il calcio è lo specchio del mondo” e, perciò, restituisce quasi alla perfezione usi e costumi della civiltà in cui viviamo, traslandone sul rettangolo di gioco vizi e difetti.
Ciò non è assolutamente una legge valida solo per le epoche trattate dall’“Avvocato”, ma è quantomai attuale, se è vero che, contemporaneamente a quello che sta accadendo nel mondo della politica globale, una certa tonalità di nero, quella più accesa e sanguinosa, sta tornando alla ribalta, allargandosi a macchia d’olio in tutti i settori, calcio, ovviamente, più che compreso.
La grande tolleranza del nero
La decisione di scrivere questo articolo, venuta dal sottoscritto e non dalla redazione, che ringrazio per avermi dato la possibilità di esprimermi su questo argomento, è nata quando, ieri sera, mi è pervenuta l’affermazione di Claudio Lotito, presidente della Lazio, il quale, nel commentare il licenziamento del falconiere dell’aquila Olimpia, reo di aver postato dei video ritenuti non etici dal patron, ha sentenziato “Per me questo fatto è più grave del saluto romano”.
Per chi non lo sapesse, infatti, lo stesso Juan Bernabé, che il senatore ha allontanato da Formello quest’oggi, già nel 2021 era riuscito a meritarsi la diffida dagli ambienti biancocelesti per aver salutato la Curva Nord con il braccio teso, scoperchiando nuovamente il vaso di Pandora riguardo all’affinità di alcune frange del tifo laziale con l’estremismo nero.
Personalmente, ho trovato disarmante non solo l’affermazione di Lotito, ma anche l’evidenza del fatto che questo personaggio, nonostante si fosse già macchiato di un fatto così grave, abbia avuto ancora il benestare per rientrare nello staff della compagine capitolina.
Se già è di cattivo gusto affermare che il saluto romano non è un fatto così grave, lo è ancora di più permettere ad un uomo, il quale ha già dimostrato di condividere i valori di una dittatura fra le più sanguinarie e violente della storia, di continuare a lavorare per la propria società.
Purtroppo, però, il mondo del calcio, così come quello esterno, sta conoscendo sempre più una “tolleranza” del nero, ossia una certa tendenza a perdonare atteggiamenti fascisti o comunque di estrema destra, che si basano sul nazionalismo, sul razzismo e sul mito della forza.
Non si può passare sopra a comportamenti come quello del falconiere spagnolo nel 2021, che, ahimé, rappresenta solo una minuscola parte di ciò che accade dentro e fuori dagli stadi.
Curve…o camicie nere?
La domanda che dà il titolo a questo paragrafo, per provocatoria e iperbolica che sia, sicuramente nasconde un triste e nero fondo di verità, se è vero che la partecipazione di molti gruppi ultras delle curve italiane a movimenti di estrema destra non è più definibile nemmeno “presunta”, ma, al contrario, “documentata”.
Non è più inusuale, infatti, assistere, oltre a cori ed offese razzisti, un “habitué” dei nostri stadi, a vere e proprie marce pre-partita, durante le quali i tifosi delle varie squadre vanno a prendere possesso militarescamente dei sedili a loro attribuiti, intonando, magari, anche qualche canzone risalente al Ventennio.
Nonostante non si possa in alcun modo dire che questo sia un fenomeno appartenente a tutte le tifoserie d’Italia, è assolutamente deprimente constatare che la maggior parte ne sia assolutamente parte integrante, anche a causa di un deprecabile immobilismo da parte del governo e delle forze dell’ordine, che, contrariamente a ciò che afferma la Costituzione riguardo all’apologia di fascismo, non muovono un dito per fermare questo tipo di azioni.
Ecco, dunque, che tornano nell’aria parole di violenza, di prevaricazione, di razzismo, che si alimentano delle preoccupazioni della massa e delle sue paure, permettendole, per una volta, di sfogare tutte le sue frustrazioni quotidiane, sentendosi invincibile e forte, sicura dell’appoggio del proprio compagno, o meglio “camerata”, di curva.
La pericolosità di questi veri e propri eserciti, però, è duplice: se, non a caso, anche solo a livello fisico rappresentano una minaccia per la comunità, possono rappresentarne una maggiore su più vasta scala qualora un qualche “genio maligno”, per dirla in maniera cartesiana, decida di asservirsi di loro per tentare l’ascesa politica, proprio come Mussolini fece poco più di cent’anni fa.
Basta veramente poco e il rischio, purtroppo, è più elevato che mai.
Fuori la politica dagli stadi
Francesco Totti, nella sua autobiografia scritta a quattro mani con il giornalista Paolo Condò, tra un aneddoto e un altro, si è lasciato sfuggire un’affermazione assai interessante riguardo alla sua tifoseria, osservando come apprezzasse un po’ di più quella degli anni passati perché, a detta sua, era meno interessata alla politica, ma, semplicemente, veniva allo stadio per tifare la propria squadra, nonostante quell’epoca fosse quella immediatamente successiva al dualismo di piombo “Rosso-Nero”.
Nonostante l’ex capitano della Roma non sia sicuramente un filosofo, fatto di cui lui stesso è perfettamente e intelligentemente a conoscenza, condivido in pieno la sua frase.
Sebbene, infatti, proprio tornando a ciò che Buffa esprime nel suo libro, sia abbastanza impossibile tentare di scindere un mondo così bramoso di propaganda come quello politico dal calcio, ritengo che, in un mondo ideale, ciò sarebbe una cosa legittima e giusta.
Questo, onde evitare fraintendimenti, deve valere sia per una fazione per l’altra, se è vero che ogni dittatura, comunista o fascista che sia, deve essere condannata senza grandi remore.
Non si può continuare ad andare avanti così, perdonando ogni comportamento e lasciando che personaggi che non hanno nulla a che fare con il mondo del calcio si prendano la scena, influenzando, magari anche le generazioni future.
E’ suonata la sveglia, è ora di cambiare, almeno se il nostro calcio vuole veramente progredire.