Con le buone, ma soprattutto con le cattive, la Roma si porta a casa il derby, rispolverando la tenacia impartitale dal portoghese.
Il viaggio nel tempo, ormai da tantissimo tempo, è un argomento di cui si discute moltissimo, sia a livello prettamente teorico o ideologico, sia secondo i suoi aspetti più pratici, visto che, con l’avanzare della conoscenza scientifica, qualcuno sostiene che fra non molto sarà possibile realizzarlo.
La possibilità di rivivere situazioni già vissute o, comunque, di andare indietro nel proprio passato è una circostanza che affascina molti e che, se messa in pratica, rientrerebbe sicuramente fra le invenzioni di maggior successo della storia dell’umanità.
Evidentemente, a giudicare dal secondo tempo del derby di ieri sera, anche la Roma è rimasta folgorata da questa prospettiva, se è vero che, sopra di due gol, nei quarantacinque minuti conclusivi della gara ha rispolverato un assetto assai difensivista di “mourinhana” memoria, ormai quasi scomparso dall’esperienza di questa squadra.
Prima De Rossi e poi anche Juric‘, il secondo con risultati abbastanza alterni, hanno provato, infatti, a regalare ai giallorossi un gioco di stampo offensivo, atto più a fare male che a difendersi e, per essere sinceri, anche Ranieri, nonostante non sia mai stato un convinto “giochista”, si è sempre battuto affinché la sua squadra proponesse un bel calcio.
Ecco, tutto questo annetto di sperimentazione, che ha portato la Roma anche a delle belle prestazioni lungo la strada, si è visto riporre in un cassetto della memoria collettiva della squadra, che ha deciso di rispolverare ciò che Mou, nelle sue due stagioni e mezzo nella Capitale, le aveva impartito, nel bene…e nel male.
L’anima della Roma di Mou
Gli occhi di Mancini, le provocazioni di Paredes, gli incitamenti di Pellegrini, la faccia beffarda ed ineffabile di Dybala: piccole istantanee che, messe insieme, realizzano un perfetto collage di quello da cui la Roma di Mou, seppur con alcuni interpreti ormai non più nella Capitale, era costituita.
La squadra del portoghese, infatti, più che per delle grandissime giocate o per un calcio spumeggiante e particolarmente emozionante, verrà per sempre ricordata da tutti i tifosi romanisti per la tenacia e l’enorme anima guerrigliera di cui disponeva, la quale, al netto dei suoi stessi difetti, l’ha condotta a due finali europee per due anni di fila.
Conoscendo José, però, non poteva essere altrimenti, se è vero che il suo carattere, istrionico e capace di radunare tutti sotto la sua bandiera, lo ha sempre portato ad assumere le difese della propria squadra, intesa come tifoseria e come giocatori, contro tutto e tutti, originando uno spirito di gruppo assai forte.
Questa grande coesione dei calciatori, nonostante molti interpreti siano cambiati dall’esperienza dello Special One sulla panchina giallorossa, rimane visibilissima ancora oggi, in particolar modo quando uno dei calciatori si ritrova attaccato verbalmente o fisicamente da un avversario, che, improvvisamente, diventa l’obiettivo di quattro o cinque maglie rosse, pronte ad intervenire tutt’altro che pacificamente.
Insomma, il lascito più grande di Mourinho, checché se ne possa dire, è sicuramente questo enorme spirito di squadra, oltreché questo comune senso di attaccamento, amore è una parola grossa, verso la maglia e la città, riconosciuto, aldilà di tutte le polemiche dell’ultimo periodo, anche dalla tifoseria.
Fenomeno culturale
Per poter valutare con spirito oggettivo un fatto storico, secondo gli esperti, sono necessari almeno quattro o cinque anni, se è vero che ogni evento, qualora sia visto da troppo vicino, rischia di non apparire in tutte le sue caratteristiche reali.
Nonostante sia trascorso solo un anno dall’esonero di Mourinho, però, personalmente ritengo che la sua esperienza alla Roma, in tutti i suoi lati positivi e negativi, sia analizzando le partite che l’impatto mediatico che ha avuto, abbia rappresentato un fenomeno culturale che, nolente o volente, ha pervaso l’Italia pallonara per almeno un triennio e i cui strascichi, in qualche modo, sopravvivono ancora oggi.
E’ incredibile, infatti, pensare come l’Olimpico, al cospetto di una squadra vincente prevalentemente, se non del tutto, solo in Europa, abbia risposto sempre presente consecutivamente per quasi tre stagioni, facendo registrare un sold out dopo l’altro, utile ad accompagnare la squadra in ogni suo sforzo, cementificando un’unione che ha rischiato di regalare alla Lupa due, forse tre, trofei europei.
Se ciò è avvenuto, se tutta la Penisola, soprattutto a livello social, ha riscoperto il “romanismo”, quest’arte meravigliosa e autolesionista che da sempre accompagna i tifosi giallorossi, è merito anche e soprattutto di José Mourinho, il quale, aldilà della maschera indifferente a tutto che continua fieramente a portare, ha fatto capire in più di un’intervista di aver voluto veramente bene a questa squadra, da cui, in un modo o nell’altro, non desiderava separarsi.
Seppur, dunque, i tifosi romanisti si augurino di vedere sempre una squadra padrona del campo come quella del primo tempo, è stato, per la gran parte di loro, piacevole e nostalgico rivedere per un po’, specialmente in un derby, la squadra grintosa, tenace e, diciamocelo, cattiva a cui Mou li aveva abituati.
E’, quindi, proprio il caso di dirlo: obrigado, José.
Foto: instagram Mancini.